R.I.P. VENTIVENTI

Ci siamo. Buon 1984 a tutti…ehm scusate, lapsus. Volevo dire buon 2021 a tutti!

 

Chissà perché mi è ritornato in mente questo libro letto una vita fa, nemmeno con troppo entusiasmo da una me stessa troppo impelagata nel match finale del diventareunadultoresponsabile.

 

Quando nella mia generazione Orwell lo conoscevano in pochi, quando a scuola non lo studiavi, perché ti fermavi a Moravia e Cesare Pavese. I più estrosi a Pasolini.

 

Ora che quelli della mia generazione sono 40-50 enni, è un anno che si fanno sbrodolare fuori dalla bocca citazioni e aforismi tratti da quel dannato libro.

 

George, ma che cazzo l’hai scritto a fare tu sto libro? Sì, mi rendo conto, sono anch’io una scrittrice. Certe cose ti vengono fuori così e non immagini il casino che possono creare.

 

Hai ragione, George, tu non hai colpa della stupidità e del qualunquismo dilagante di chi ora si riempie la bocca e le tasche in video interviste che ti fanno figurare come un cazzo di profeta.

 

È la fine dell’anno e penso a te, che rileggi le bozze polverose del tuo romanzo. Penso a te che ti ripeti : “A sto giro devo spaccare!”. Be’ ce l’hai fatta, hai spaccato, George. Chapeau.

Peccato che i venerabili idioti di oggi non hanno capito quasi niente di quello che tu volevi dire. E questo perché accade quasi sempre di essere fraintesi quando si scrive.

 

Accade troppo spesso di dover spiegare la propria intenzione, di dover dare una chiave di lettura, dei sottotitoli per noncapenti.

Non c’è cosa che svilisce di più. Per questo motivo, George, hai tutta la mia comprensione.

 

Oggi è l’ultimo giorno di un anno inutile ed altamente nocivo per la salute, la mente, l’anima della gente. E anche per la mia, George.

 

Ci ho provato ad iniziare con il piede giusto. “Mi apro un blog, no due” così tanto per sciorinare tutto quello che so, perché la gente ti vuole conoscere, poi che ne sai, qualcuno leggendo come scrivi ti nota…

E vabbè, io e la mia amica ci tuffiamo, planning alla mano, in questa nuova social-avventura, che però presto diviene un social-incubo.

Programmiamo come se non ci fosse un domani, anzi in realtà sperando che ci sia. Diciamo a tutti le nostre social-cose, preoccupandoci di piacere ai nostri social-seguaci e di proporre loro sempre nuovi social-consigli differenziandoci dai nostri social-concorrenti.

 

La frittata è fatta. Sviluppiamo un social-scoglionamento, per il quale passiamo periodi a fare social-battibecchi alla ricerca di non ben definiti social-contenuti di cui parlare. Alterniamo momenti di motivazione ad altri in cui vorremmo bruciare i nostri telefoni su una pira rituale.

 

Nel mentre forze cosmiche incontrastabili mi armano la mano di un piede di porco con il quale scassino il famoso cassetto, in cui butto inspiegabilmente tutto quello che mi viene bene. Come a volerlo preservare dalle brutture del mondo esterno.

Ma i figli, si sa, non ci appartengono e prima o poi devi lasciarli volare via dal nido. E così in piena pandemia, in un momento di apparente stasi, do alla luce il mio secondo figlio letterario.

 

“Ronnie” a differenza del primo “figlio” è precoce, cammina già sulle sue gambe. “Lui spaccherà” mi dico vedendolo compiere i primi passi. Sono piena di fiducia, ottengo recensioni positive. Vedremo.

 

Poi si rientra dalle vacanze e l’incubo inaspettatamente ricomincia. Ma questa volta tutto è amplificato, questa volta è più grosso, fa più paura. Capisci subito che questa volta toccherà anche te.

La gente reagisce al Chaos dividendosi, facendosi mangime per predatori da talk show televisivi. Vuole parlare solo di questo, riesce a pensare solo a questo.

Il cazzo di virus. È psicosi. Il panico crea una realtà virtuale dove esiste solo questo.

 

Ti viene una febbre e diventi una minaccia per la società. Passi inevitabilmente nella trafila burocratica dei pezzi di carta e dei test che definiscono il tuo livello di pericolosità per la comunità.

Ti metti in coda, ti fai etichettare, testare e ti fai dire in quale fila devi incolonnarti. Avanti un altro, per stavolta ce l’hai fatta.

Il complotto è sempre in agguato. Sono tutti pro o contro qualcosa, qualcuno. Fioccano gli ashtag #iostocon, quando si trascura il quesito universale: “ma io, chi cazzo sono?”.

Sospettosi finiscono per denunciarsi l’un l’altro. Questo però, George, gliel’hai suggerito tu, ammettilo.

Il nemico si cela ovunque: il vicino, il sindaco, il positivo, il governante, il controllo globale, il nuovo ordine mondiale.

 

Illusi. Ciechi. Se avessero davvero capito quello che tu hai scritto, avrebbero compreso che il controllo esiste da che esiste il mondo. Non è una nostra invenzione. È solo che noi oggi ce ne siamo appena accorti.

Siamo tutti monitorati, il grande fratello lo vogliamo noi, perché la libertà ci fa paura, più della prigionia. Infondo “in galera hai vitto e alloggio gratis”.

 

Ma la pacchia sta finendo: le galere della coscienza sono sovraffollate e qualcuno ha già cercato di evadere. Evadere, questo si deve fare, lasciare fluire un’emorragia di pensiero, che spezzi tutte le catene. Questo forse è l’unico regalo di questo ventiventi morente.

 

Che riposi in pace quest’anno tossico. Non voglio più sentire una parola al riguardo. E in merito agli auguri, George, che vuoi che ti dica? Vorresti che augurassi a tutti un buon anno nuovo di care vecchie cose di cui tutti hanno le palle piene ma che si affannano a chiedere indietro?

Non sarebbe da me e non lo farò. Io auguro solo al vecchio anno di morire ammazzato.

Di finire sotto un treno pieno di gente che se ne va a fare un bel viaggio in compagnia.

Gli auguro di affogare in fondo al mare, divorato dai pesci in pericolo di estinzione, preso a calci dalle maree e dai capricci dell’oceano.

Oppure di buttarsi da uno di quei tanti balconi che ci hanno fatto da capsula del tempo nei mesi scorsi.

L’unico augurio lo riservo al mio figlio letterario, di poter crescere e prosperare. Di poter riempire il tempo di tanta gente e di incuriosirne altrettanta.

Alla mia figlia “umana” auguro di non smettere mai di farsi domande, di chiedersi sempre il perché delle cose e di rifiutare ogni tipo di verità preconfezionata.

A me stessa infine auguro di non smettere di remare, di continuare a pagagliare con tutta la forza, perché prima o poi la marea cambierà ed allora potremmo rifiatare lasciandoci finalmente trasportare dalla corrente.

 

 

 

 

 

 

 

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