La Candidata

Quando in TV non si faceva che parlare della Carrà, che da poco aveva lasciato questo mondo, quando si alternavano ancora numeri e necrologi in bollettini di guerra, senza che una vera guerra fosse mai scoppiata, tutti tacevano la notizia che la candidata sindaca di un piccolissimo paese della provincia Milanese avesse ormai fatto perdere le proprie tracce da diversi giorni.

In città la conoscevano tutti. Era in fondo una di quelle cittadine in cui ciascuno è “un figlio o nipote di”. Si trattava di un mezzo di identificazione perlopiù su base empirica. Il cognome non te lo chiedeva mai nessuno, tanto bastava ad inquadrarti.

I manifesti col suo viso giovane e dall’aria di chi sa il fatto suo adornavano da tempo gli spazi civici. Se li contendeva con l’altro candidato, uscente, dal volto cupo e rassegnato. Accennava pure un sorriso forzato, “Signor Sindaco, per il santino!”. Ma traspariva tutta la sua smania di pensionamento, “tanto quello che poteva grattare, l’aveva grattato”. Questo dicevano ai tavolini del bar.

 

La gente voleva un cambiamento. E quando mai. La gente vuole sempre un cambiamento. Ma, attenzione, un cambiamento che non cambi troppe cose, se no come si fa? Quando hai sessant’anni e hai sempre fatto le cose in un certo modo, è difficile cambiare metodo. Così. Di punto in bianco. “Ma tu chi sei per dire a me come devo fare le cose alla mia età?”.

Sempre la stessa storia che si ripete. Prendi la questione della Sanità. Vaglielo a spiegare ai vecchietti che non serve più il foglietto da portare in farmacia per le medicine. Che ora ci devi andare con lo smartphone, il QR code, il fascicolo elettronico. Roba da film di fantascienza.

E di fantascienza cominciava ad ammantarsi la presunta sparizione di Lola Cardini, la candidata.

Io mi occupavo della campagna elettorale e questa latitanza inspiegata ed improvvisa cominciava ad essere per me un argomento scomodo, di cui pressoché tutti quelli che incontravo mi chiedevano spiegazione.

Lola l’avevo vista cinque giorni prima al comizio di chiusura della campagna. C’era stata un po’ di bagarre in realtà. Era passato il matto del paese nel pieno di una discussione piuttosto accesa. Si era scatenato un delirio generale, appena prima che decidessi, data l’ora tarda, di cominciare a smontare il gazebo.

Al centro della contesa c’era, manco a dirlo, Osvaldo Grossi. Osvaldo era un pensionato illustre, dallo spiccato senso civico, che aveva fatto della lotta alle deiezioni canine la sua battaglia civica. Certo, tutti i torti non li aveva, c’è da dirlo. A nessuno piace fare lo slalom sui marciapiedi, per non portarsi a casa il ricordino.

 

Tuttavia anche Osvaldo nella sua lotta aveva sbattuto il muso contro lo zoccolo duro, che difendeva la pretesa di far cagare il proprio cane dovunque. Anche gli animali hanno i loro diritti, non dimentichiamolo. In particolare la paladina della “cagata senza frontiere” si era impuntata su questa ed altre questioni, finendo col fare di tutt’erba un fascio. Si lamentava delle polpette avvelenate, dell’erba troppo alta, del parassita giapponese, della staccionata divelta e delle buche scavate dai cani nell’area cani.

Si dà il caso che il malcontento sia pane per i denti di coloro che fondamentale sono privi di argomenti. E si dà anche il caso che la diatriba facesse molto comodo al sindaco cupo e rassegnato, che in fondo in fondo però la seggiola non era mica pronto a mollarla. Quantomeno non a Lola, per la quale nutriva un’ antipatia viscerale. Nessuno ne conosceva la ragione.

La questione della merda divenne una spina nel fianco. Osvaldo, ogni volta che compariva, portava sconquasso e noi eravamo stanchi di dover dirimere battibecchi ogni volta.

A tre giorni dalle elezioni ricevetti una telefonata dal giornalista locale, che voleva una dichiarazione in vista dell’apertura delle urne. Lola era irraggiungibile, almeno da tre giorni prima. Non ci avevo fatto caso, in realtà. Non ancora. Abbozzai quattro parole di circostanza, che di solito pronunci quando non hai niente da dire e vuoi prendere tempo.

 

Quella mattina ricordo che mi alzai già col piede sbagliato. La sera avevo fatto tardi ed inevitabilmente avevo faticato ad addormentarmi. Già questo bastava come pretesto per tenere il broncio tutto il giorno o, a scelta, prendermela con il primo che mi fosse capitato a tiro.

Dopo il caffè, la sigaretta. Non lo si nega nemmeno ai condannati ed è meglio non farlo neanche a me. Mentre sfumazzavo, inondando la cucina di fumo di prima mattina, iniziai a scorrere col pollice le notizie locali. Dapprima feci scorrere le informazioni senza dargli troppo peso, poi una notizia attirò la mia attenzione.

La signora Jolanda Merlo, quella delle “cagate senza frontiere”, aveva allestito un sit in davanti alla casa della candidata Sindaca. La casa di Lola. La foto mostrava esattamente l’ingresso del suo palazzo. Cazzo.

Non era la prima angheria che subiva da che era cominciata la campagna. Ma adesso era troppo. Addirittura presentarsi davanti alla sua abitazione. E tutto perché si aveva la pretesa di lasciare in giro i ricordini del proprio cane. La faccenda assumeva ai miei occhi i contorni di un’ opera tragicomica.

Ma dovevo chiamarla, al più presto. “Sicuramente si sarà barricata in casa, conoscendola” pensai. Feci il numero senza appoggiare la sigaretta. Cominciai a sentire che il telefono squillava a vuoto. Niente di strano. Era totalmente da lei. Il telefono poteva trovarsi sotto il sedile dell’auto, in cantina, infilato nella borsa della piscina. Era totalmente ed inequivocabilmente da lei.

Senza rendermene conto lasciai trascorrere quasi tutto il giorno prima di ricomporre il suo numero. Sempre libero. Sempre a vuoto. Questa faccenda del telefonino infilato chissà dove iniziava a spazientirmi. Così decisi di andare personalmente a controllare.

 

Mentre guidavo verso casa sua, recupererai il numero della madre, anziana, che viveva poco distante. Niente, la signora Rosanna non l’aveva vista negli ultimi quattro o cinque giorni. Cazzo.

Mi precipitai nel primo ed unico parcheggio libero, chiusi l’auto ed accesi un’altra sigaretta. Davanti al palazzo c’era una mandria di rimbambiti senza arte né parte, che accusavano Lola e la sua lista di insensibilità nei confronti della causa animalista.

In breve, il diniego a lasciar cagare in cani sui marciapiedi diventava come un assenso alla vivisezione. C’erano infatti cartelli di animali uccisi, si parlava di bracconaggio, pellicce. Tutta roba che coi marciapiedi puliti non c’entrava un granché. Erano una mandria di rimbambiti, ma di sicuro sapevano come rigirare la frittata ad arte.

La mamma Rosanna mi aspettava sul pianerottolo con le chiavi di scorta. Aprimmo la porta, ma ci fu subito chiaro che Lola probabilmente mancava ormai da parecchio tempo. Mi guardai intorno in cerca di qualche indizio e vidi negli occhi della signora l’angoscia salire. In quel momento iniziò a vibrarmi il telefono in tasca. Lo presi. Osvaldo Grossi. “Che rottura, lo richiamo dopo” pensai. Sicuramente voleva parlare del dannato problema delle deiezioni canine, che era appena stato trasformato in un affare di stato.

 

Ma un altro problema, grande come una casa, mi si affacciava all’orizzonte. Mancavano meno di due giorni alle elezioni e la candidata di punta era scomparsa nel nulla. Non appena se ne fossero accorti il Sindaco cupo e rassegnato e la sua cricca, avrebbero fatto qualunque cosa per sottrarle l’enorme vantaggio di cui aveva goduto fino a quel momento.

Decisi per il bene di tutti, il mio per primo, di tenere la cosa per me. Almeno finché non fossi riuscita a dare un senso a questa storia.

Osvaldo dall’altro capo del telefono non si arrendeva. Ma la mia preoccupazione era tutta per la signora Rosanna, che nel frattempo era caduta preda della disperazione ed aveva iniziato a singhiozzare, mentre dalla finestra le urla dei manifestanti animalisti non si placavano.

“Cazzo Lola, se non hai un motivo più che valido per andartene così senza avvisare, giuro che te la faccio pagare. Piuttosto vado a votare per il Sindaco cupo e rassegnato” pensai “che nel frattempo, alla notizia della tua dipartita, si sarà ringalluzzito ed avrà recuperato ampiamente terreno”.

Un’altra vibrazione. Sempre lui. “Mio Dio, possibile che non abbia nient’altro da fare?!”. Era ormai evidente che non ce l’aveva.

Nei giorni successivi Osvaldo non si arrese ed arrivai al giorno delle elezioni con l’acqua alla gola. Tra una bugia ed una scusa riuscii comunque a non buttare alle ortiche tutto il lavoro che avevamo fatto in quell’ultimo anno.

 

La mattina delle elezioni sembrava stranamente tranquilla. Non c’era in giro il baccano degli ultimi tempi. Forse per un giorno si sarebbe potuto evitare di parlare di merda dei cani. Ma Osvaldo non la pensava allo stesso modo. Tranne che per concedersi qualche ora di sonno, non faceva che restare attaccato al telefono e tempestarmi.

Le urne erano aperte già dalle 7 di mattina. Io naturalmente non avevo il cuore di mettere il naso fuori casa. Non prima del mio rituale. Caffè, sigaretta. La carrellata di notizie invece me la risparmiai, per fare spazio ad una bella puntata della serie TV del momento, sbracata comodamente sul divano.

Quando mi sarebbe ricapitato di vedere una serie TV alle otto del mattino, chiudendo l’intero mondo fuori?

I propositi tuttavia vennero ben presto disattesi, quando cominciai a sentire l’ansia montarmi dentro. “Lola, che accidenti di fine hai fatto?” Mi chiedevo. Per non parlare dello scenario in cui mi vedevo davanti agli elettori a spiegare come e perché ci eravamo persi la candidata.

Qualunque possibilità mi venisse in mente mi faceva rabbrividire. Fanculo la serie TV. Dovevo trovarla e riportarla alle sue responsabilità. Il problema era che non avevo la più pallida idea di dove iniziare a cercare.

 

Qualcuno dei suoi più stretti collaboratori mi aveva imbeccato che la sua scomparsa non era casuale, che aveva senza dubbio a che fare con il feroce dissenso che ci si era scatenato contro in chiusura di campagna. Lucio, questo era il suo nome, aveva naso fino per queste cose. Stava invischiato nella politica da che campava ancora Enrico Berlinguer, se non prima.

Con il suo marcato accento del Sud ed il suo inconfondibile timbro da ex fumatore incallito, ti si avvicinava e ti sussurrava qualcosa. Sempre allerta. Sempre guardingo. La campagna era diventata per lui quasi una ragione di vita. Mai si sarebbe fatto soffiare la candidata da sotto al naso.

Lucio non aveva perso tempo. Mi disse che aveva scoperto cose sensazionali, che al telefono non poteva rivelarmi. Così mi diede appuntamento per l’ora di pranzo. La prospettiva di vestirmi ed uscire non mi entusiasmava, ma dovevamo trovare la nostra candidata.

Mi vestivo ed il telefono vibrava. Osvaldo. A lui va sicuramente il premio per la tenacia. Ma cominciavano a saltarmi i nervi. Possibile che nessuno della miriade di persone con cui aveva trascorso l’ultimo anno, che le avevano fatto la corte, che avevano inneggiato alla sua vittoria, si fosse accorto che Lola era momentaneamente scomparsa dalla faccia della terra?

 

Arrivai all’unico bistrot senza t, perché sono napoletani, non francesi. Lucio mi aspettava con la polo ed i pantaloncini di jeans. Era torvo in viso. La cosa non mi fece ben sperare.

Presto mi disse che aveva scoperto che la signora Jolanda Merlo, altri non era che la cugina del Sindaco cupo e rassegnato, da parte di madre.

“Embè?” Direte voi. Ebbene, Lucio si era fatto un film allucinante sul fatto che Lola fosse stata rapita da questa gente, allo scopo di ostacolarne l’elezione. Il tutto, lo ripeto in caso non fosse chiaro, per consentire ai cani di cagare dove capitava. Eravamo all’assurdo. Lucio però era convinto ed il peggio era che se avessimo denunciato la scomparsa alla polizia, avremmo veramente inficiato il risultato.

Si fece sera in un attimo. Le urne stavano per chiudere. Passai al seggio, alla scuola elementare. Entrai, consegnai il documento e mi presi la scheda. Nella cabina c’ero solo io. Ora tutto il mondo era veramente fuori. Era tardi. Un senso di immensa solitudine mi invase.

Aprii la scheda. Nemmeno me lo ricordavo più come era fatto un seggio. Erano anni che non votavo. Ma ora volevo farlo, dovevo farlo.

Una specie di euforia infantile mi travolse. Pensai per un attimo, che non appena avessi fatto la croce sul suo simbolo, quello che avevamo creato per lei, insieme a tutti gli altri, Lola si sarebbe messa in contatto con me.

Barrai la casella con la matita, chiudendo gli occhi per un istante. Poi, sempre con gli occhi chiusi, ripiegai la scheda. Mentre afferravo la tendina della cabina, sentii vibrare il telefono. Caspita, aveva funzionato veramente. “La telepatia esiste! Ho dei poteri soprannaturali!”.

Corsi a consegnare tutto e mi precipitai fuori. Sfilai il telefono della tasca. “Anonimo” diceva il display. Buon segno. Avrà smarrito il cellulare. Mi accesi una sigaretta, schiacciai il tasto verde: “Lola, che fine hai fatto? Non me lo dire… Hai perso il telefono?”.

“No, Osvaldo.” Taccio inerme per qualche secondo. “Ora te la passo”.

Automaticamente scivolo sul fianco della mia macchina e mi siedo per terra, con ancora la sigaretta fra le labbra.

Venne fuori che Lola stava a Finale Ligure. Ad oltre trecento cazzo di chilometri da dove avrebbe dovuto stare e, come se non bastasse, con il dannato Osvaldo.

Ci parlai al telefono per qualche minuto e mi disse che non le importava più di vincere le elezioni. Che mollava. Che aveva bisogno di allontanarsi per un po’ da ogni cosa. Mi disse che non avrebbe fatto la Sindaca in qualunque caso, perché ormai, continuò, aveva compreso che la gente non vuole veramente cambiare.

Tutta quella gente, che nei mesi prima le si era radunata intorno, in realtà era spinta da interessi personali. Chi desiderava un posto in comune, chi una raccomandazione per il nipote laureato. Nessuno sognava realmente un cambiamento. Perché il cambiamento, mi spiegò con le onde del mare in sottofondo, richiede una grande forza di volontà. Uno slancio creativo. La voglia di osare. E soprattutto la pazienza di chi si accinge a piantare un seme. Dovrà prendersene cura di quel seme, per poterlo vedere germogliare.

Ma la gente pazienza non ne ha. Ti giudica, se non gli dai subito qualcosa. Perché la gente in fondo vuole cambiare tutto, per non cambiare mai niente.

Me ne tornai a casa. Un po’ mi rodeva, per aver buttato con lei e la sua campagna un anno della mia vita. Però tutto sommato ero anche felice in fondo al mio cuore. Perché finalmente anche Lola aveva capito quello che per tanto tempo avevo pensato, ma che non ebbi mai il coraggio di dirle.

 

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