Il limbo del villeggiante

Ultimo giorno di vacanze. Una giornata cazzuta. Una di quelle in cui, quando ti alzi, hai come una premonizione. L’universo te lo vuole anche dire che sarà una giornata di merda, ma tu non capisci.

Ti alzi, ti affaccendi tra una cosa o l’altra e non lo vuoi capire. Non ci vuoi pensare. Fai le valige, in silenzio. Raccatti tutto ciò che hai allegramente sparso in giro, appena arrivato. Quando il tempo non esisteva e pensavi alla partenza come ad un qualcosa di vago.
Eppure va così ogni volta. Ti affezioni alla città, alla gente. Sull’autobus ti sembra ormai di conoscere tutti. Ci stai bene, ti piace il posto.
Poi, senza nemmeno accorgerti, arriva l’ora di ripartire. Cammini per quelle stesse strade e già ti senti un po’ altrove.
Guardi i marciapiedi, le fermate dell’autobus ed improvvisamente ti sembra tutto diverso. Sei ancora lì e vedi la città cambiare. Così, davanti ai tuoi occhi inermi.
Ti rendi conto che presto tu starai calpestando altre strade, prendendo altri autobus. Vedi quel mutamento attorno a te e capisci che tu non ne farai parte.
Ti senti sospeso. A metà tra una condizione ed un’altra. Tra un posto e l’altro. E capisci, che per quel tempo che ti separa dal ritorno a casa, tu non appartieni ad alcun luogo.
È il limbo del villeggiante. Di quello che ritorna. Che ogni anno ritrova gli stessi luoghi, gli stessi vecchietti sull’autobus. Qualcuno lo cerca con lo sguardo, senza trovarlo e gli dicono poi che è mancato durante l’inverno.
Il cuore, insomma, ti sanguina un po’, al solo pensare che dovranno passare altri dodici lunghi mesi, prima di rivedere quelle persone che hai amato, quelle strade e quei marciapiedi, finalmente rifatti a nuovo dal neoeletto sindaco.

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