Diciassette persone

La posta ha aperto i battenti da appena nove minuti. Davanti a me diciassette persone in ordinato disordine descrivono quella che con parametri e volontà ben diversi chiameremmo “fila”.

Qui non c’è più voglia di disciplina, di regole, di bavaglio alla bocca e file chilometriche.
Fa caldo oggi. Milano non si smentisce neppure nell’anno del virus cinese e come potrebbe? Sono troppi i medium che vanno in televisione a raccontare che quest’anno il mondo finirà. Fa parte del gioco.
Fiamme dell’inferno che ti spuntano da sotto ai piedi, aria pesante, scenario hollywoodiano.
Sedici persone, forse quindici. Con una lentezza paradossale ogni tanto qualcuno esce e qualcun’ altro entra.
Il  paese è in stop motion, tutto quanto. Persino il ragazzo vestito Adidas da capo a piedi, che glissa la coda tenendo un vassoio e quattro bicchierini di carta con una mano. Con l’altro si apre la porta ed entra. Dopo alcuni secondi esce col vassoio vuoto. Agilmente e buttando a tutti un’occhiataccia di compatimento, sparisce dietro l’angolo da cui era apparso poco prima. Aria condizionata, come ti vorrei!.
Quattordici, tredici persone. O forse poco meno.
Frugo nello zaino in cerca del ventaglio. Sono una privilegiata ora: nessuno di voi ci aveva pensato, eh? Me lo sventolo praticamente in faccia, ma dopo poco si disfa tutto, libero dal piccolo perno che lo teneva assieme. L’ anatema dei presenti invidiosi ha colpito ma non mi arrendo, piuttosto lo tengo stretto nel palmo della mano, ma non ci rinuncio.
Dieci, forse nove. Improvvisamente tutto si tinge di bianco e nero. Siamo comparse di un documentario dell’Istituto Luce. È la seconda guerra mondiale, forse. Siamo tutti in fila con la tessera del pane o con il tagliandino della raccomandata, consegnato in quell’unica ora in cui ti sei assentato da casa.
L’ asfalto si scioglie e libera vapori infernali, facendo tremare la visuale di chi tenta di guardare più in là. Il vento del primo mattino è un ricordo sbiadito dall’afa.
Otto, sette persone. Qualcuno si è arreso al proprio destino e si appoggia fiacco su un muretto, protetto da un albero che una volta era un mandorlo tutto spennato.
Fai un tentativo timido ma temerario di abbassarti la museruola, per permettere ai  polmoni di andare a pieno regime di tanto in tanto. Ti guardi intorno, qualcuno prende coraggio e fa la stessa cosa. Ti senti un precursore.
Sei persone. Siamo in pochi e ci sentiamo la vittoria in mano, oltre che le pepite di carbone in tasca. Vago con la mente a quando avrò fatto e sarò nel supermercato alle mie spalle, noto nella zona per le sue temperature glaciali nei mesi estivi.
Una persona e poi è il mio turno. Tra i pochi superstiti scoppia una rissa. Ne ignoro i motivi, ma sono consapevole che ormai il morale della truppa è ridotto ad una polveriera. Basterà un niente per fare un disastro.

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