Dark

Lo so. I telefilm raramente c’entrano coi libri ed anche quando sono tratti da romanzi, la versione che ne fanno è spesso deludente.

Le serie TV tuttavia, si sono imposte negli ultimi anni come forma di intrattenimento alternativo, per rincoglionirci ben bene e tenerci tutto il tempo coi culi attaccati ai divani. Inermi, inebetiti, se possibile. Sono i nuovi racconti del Decameron, da ascoltare davanti al fuoco, per tenersi al riparo dalla peste.
Ogni tanto però capita di incappare in qualcosa che si eleva dalla massa di ciarpame commerciale. Qualcosa di intelligente, qualcosa di molto ragionato. Ben fatto, coerente, avvincente. I temi che tratta non solo ti pigliano un sacco, ma ti spingono a cercare informazioni e leggere dei libri, che altrimenti non avresti mai letto. Di rado, ma capita.
A me è successo, non in questo ordine, con la serie TV in tre stagioni Dark, di cui Netflix ha appena distribuito la stagione conclusiva.
Ebbene, questa serie mi ha lasciato a bocca aperta. Inizialmente, il mio occhio pigro, assuefatto al sensazionalismo delle serie americane, non le dava molta fiducia. Tuttavia, una volta che sono entrata nella trama intricatissima, ho preso ad appassionarmi. Il risultato è stato che alla fine della stagione conclusiva, non potevo più fare a meno di Jonas, Marta e tutti i loro amici.
La storia si articola su piani spazio temporali diversi, perciò raccontarne la trama diventa un po’ complicato. Ci provo, comunque.
Si tratta di una piccola comunità nella provincia tedesca, che sorge nei pressi di una centrale nucleare, attorno alla quale ruota tutta la storia.
Il LA alla vicenda lo dà la sparizione di un ragazzino della cricca dei protagonisti, che poi rincontreremo in epoche e dimensioni differenti, il quale  si scopre aver fatto un viaggio nel tempo attraverso una grotta prospiciente la centrale stessa.
Questa custodisce un varco, che si innesca in particolari condizioni e che permette al protagonista, Jonas, di spostarsi in epoche antecedenti e successive a quella in cui ha luogo il fatto.
Qua entrano in ballo una marea di teorie e di studi sull’universo, lo spazio ed il tempo, che io avevo iniziato a studiarmi quando Stephen Hawking ha lasciato questo mondo. Mi sembrava inglorioso non conoscere niente su un personaggio che aveva lasciato una simile impronta nella storia dell’umanità e così cominciai a leggere alcuni dei suoi libri.
Già Einstein prima di lui, aveva teorizzato che in particolari condizioni si potesse creare un ponte (il ponte di Einstein-Rosen) per viaggiare attraverso il tempo e lo spazio.
Chi non si appassionerebbe ad una cosa simile?
A me ha preso talmente tanto, che una volta iniziato non ho saputo più smettere!
Da sfondo, ma nemmeno troppo, l’amore travagliato tra il protagonista, Jonas, e la sua compagna di classe Marta. Ad un certo punto questi due si trovano ad essere Adamo ed Eva: i precursori stessi dell’umanità. Incarnazioni degli archetipi di maschile e femminile!! Se questi non sono colpi di scena, non so quali possano esserlo!
La storia mi è piaciuta tantissimo, l’argomento d’altronde, come ho detto, mi interessava già da tempo e mi ha deliziato trovare in una trama così, teorie che a mio tempo avevo faticato molto a digerire.
Insomma il tempo è un’illusione, sembrano dirci i ragazzuoli di Winden. Alla fine quello che deve succedere succede, ma anche tu sei il creatore del tuo universo, quindi quello che ti capita sei tu stesso a stabilirlo. Che confusione! Ma è estremamente magnetico vederlo messo insieme in una serie TV di sole tre stagioni. Il finale è dignitoso e giusto. Per me addirittura perfetto.
L’ho trovata una serie coerente fino alla fine, anche nel suo epilogo. È stato detto tutto e con una dignità che raramente hanno i prodotti di oltre oceano, si è deciso di mettere la parola “fine”. Questo malgrado l’enorme successo di pubblico che stava avendo la serie. Ripeto, coerente fino all’ultimo.
Forse è questa dignità, dei personaggi, della storia, della produzione, che mi ha preso di più.
Perché spesso ci abituiamo a ciò che ci piace a tal punto, che non ci accorgiamo neppure che in realtà ormai non ci piace più. La serie fa audience e la prolungano fino alla quindicesima stagione. Per noi è un appuntamento fisso, un po’ come l’appuntamento periodico dal dentista per fare la pulizia: non ti entusiasma, ma sai che è cosa buona e giusta e la vai a fare.
La storia non dice più niente, è un continuo ripetersi di cose già viste, ma la guardi per abitudine.
E secondo me, non c’è cosa peggiore per chi scrive storie. L’abitudine è nemica delle storie, le uccide lentamente, le condanna alla damnatio memoriae.
Ed io, che scrivo storie, ci sto alla larga, come i cartoni di Roger Rabbit dalla salamoia!

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